Il primo safari non si scorda mai.

Comincia tutto quando sali sulla jeep e ti dicono partiamo. Lo sterrato si sostituisce all’asfalto, la terra diventa sempre più rossa man mano che proseguiamo nella savana. Intravedo il nostro camp, quattro tende, nessuna recinzione e lì finalmente comincio a capire di trovarmi in una realtà completamente diversa. Il Lualeny Camp è meraviglioso, la posizione, la cura dei dettagli, la tavola apparecchiata. Mi sembra di essere entrata in un film, ho anche il capello giusto, quello da safari, acquistato lungo la strada per arrivare alle Taita Hills. Mi sporgo sulla terrazza e davanti ai miei occhi si estende la savana. Mi sento piccola, con il cuore pieno di emozioni ed aspettative. 

Partiamo per il safari pomeridiano. I primi animali li scorgiamo in lontananza, delle antilopi, una mandria di bufali, una giraffa nascosta dietro un albero. La terra rossa sembra vibrare al nostro passaggio, e quella vibrazione la senti dentro amplificata. 

Arriviamo ad un bivio sulla destra a pochi metri di distanza vedo per la prima volta da vicino una giraffa, è maestosa, elegante, compie movimenti sinuosi. Non riesco a smettere di osservarla e mentre la guardo si volta e per un secondo ci osserviamo a vicenda. Sono in Kenya, in mezzo alla savana a guardarmi negli occhi con una giraffa. In quel momento mi sento felice e appagata. Volto lo sguardo sulla sinistra, ci sono due elefanti, i primi di una lunga serie.  

Tutto il pomeriggio è un susseguirsi di incontri più o meno ravvicinati con gli abitanti della savana mentre ci muoviamo come ospiti silenziosi e attenti. Verso il tramonto ci avviciniamo a uno dei posti che aspettavo con più trepidazione, la rupe dei leoni. Per una trentenne come me, cresciuta con i film della Disney, la suggestione è grandissima. La rupe ricorda effettivamente quella del Re Leone da cui Rafiki presenta Simba il figlio del re Mufasa. In cima alla rupe scorgo, grazie al binocolo, una leonessa insieme a due cuccioli che giocano intorno a lei, senza mai allontanarsi troppo. Mi prendo un attimo per realizzare che non sono né in un film della Disney, né in un documentario della National Geographic. È una sensazione intensa e gratificante.

Man mano che proseguiamo scende la sera ed è il cielo a catturare ora la mia attenzione. Le stelle cominciano ad accendersi una ad una, e dopo poco ho come la sensazione di avere l’intera via lattea davanti ai miei occhi. Non esiste più confine tra la terra ed il cielo. Questo preciso istante diventa per me uno di quei momenti che valgono una vita. Mi sento parte dell’universo, e questo mi commuove fino alle lacrime. È la seconda volta che piango sotto un cielo stellato. La prima volta mi era successo sempre in Africa, per l’esattezza nell’oceano indiano, alle Seychelles, ma questa è un’altra storia. 

Non ci si può mai distrarre troppo nella savana, le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Mentre stiamo per rientrare al Camp il nostro autista ferma improvvisamente la macchina ed illumina il terreno, un branco di elefanti ci sta attraversando la strada, direi la conclusione ideale per il mio primo safari, che come il primo amore, non si scorda mai. 

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Ioana Pricop

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