Il suono delle parole fa la sua parte quando si parla di Oriente. Adoro un luogo chiamato Ujung Pandang, città nel sud dell’isola di Sulawesi. Sulawesi-Ujung Pandang, provate a leggere questi nomi a voce alta e già sarete catturati dal fascino di quei luoghi, avrete subito la percezione che sono luoghi distanti, diversi, soavi e interessanti.
I miei ricordi si confondono tra i versi delle poesie di Hesse che raccontano le notti tra i canali di Sumatra, sento gli stessi profumi, gli stessi sapori.
Con un volo da Singapore o da Bali è facile raggiungere Sulawesi, l’isola indonesiana dalla forma strana, che un tempo, quando io ero alle elementari si chiamava Celebes. Noi siamo arrivati proprio da Singapore a Manado, che si trova a nord su quella strana coda dell’isola. Manado è conosciuta e frequentata dai viaggiatori soprattutto per la ricchezza della barriera corallina. Da Manado, in barca si arriva alla spiaggia dell’isola di Bunaken, le cui acque sono così calde a riva, che devi correre scendendo dalla barca! Nel mare di Bunaken ho nuotato proprio sopra a un lungo serpente marino, era così bello a righe bianche e nere, sinuoso ed elegante. Non ho avuto paura anche se sapevo del suo morso fatale, basta non cercare di afferrarlo..
Ma non voglio parlarvi di mare, vorrei parlarvi di terra, della terra di Sulawesi. Partendo dal Barracuda Resort di Manado, abbiamo attraversato tutta l’isola, fino a Ujung Pandang, un viaggio durato una settimana, in auto, con appresso tantissimi bagagli, una guida e ben due autisti, il secondo non aveva voluto rimanere a casa! Vallate verdi, risaie, monti e piccoli villaggi, mercatini in mezzo ai quali camminavo come una star, tutti volevano toccare i miei capelli, soprattutto le ragazze, ci siamo infilati in posti suggestivi e intriganti, tra gente ospitale e gentile.
Un pomeriggio ci siamo avventurati su per una montagna, ma arrivati in cima la strada era interrotta e c’era una ruspa al lavoro. A nessuno era venuto in mente di mettere un cartello a valle e ormai giunti al valico, bisognava aspettare. Ore e ore e pioggia, così una famiglia ci ha ospitati, in una casetta di legno abbarbicata sul precipizio. Che ridere! Nella stanza quasi del tutto priva di arredi, ci guardavamo, ci sorridevamo, senza un linguaggio comune se non quello dei gesti, è stato bellissimo.
Su una canoa dall’equilibrio più che precario siamo stati tra la gente che vive sulle palafitte nella laguna. Anche le strade sono passerelle di legno e ed è davvero incredibile pensare a un villaggio tutto costruito sull’acqua. La cosa buffa è che lo stato ha costruito per quella gente, un villaggio carino, di casette prefabbricate sulla terra ferma, ma nessuno ha voluto abitarci ,e lo credo bene! C’era un delirio di zanzare!
Lo sapevate che a Ujung Pandang c’è il ristorante più lungo del mondo? E’ formato da centinaia di carrettini attrezzati per cucinare piatti che odorano di spezie, spiedini minuscoli, palline saporite di carne a mollo in un brodo di origine sconosciuta. Naturalmente noi abbiamo assaggiato tutto!
Prima di salire sul volo per Singapore – ah! Se ci penso sento una fitta al cuore! – Ecco il mio anello preferito, d’argento a fascia, un po’ bombato al centro, quello che della vita.. Una volta a casa l’ho perso e ritrovato almeno quattro volte, prima di perderlo per sempre.
Un buon motivo per tornare? Può darsi. Tornerei sicuramente anche a Tana Toraja, ma questa storia merita un post a parte, forse domani, stay tuned!